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Sindrome Orellanica

SPECIE RESPONSABILI:

Cortinarius orellanus Fr.; Cortinarius rubellus Cooke=Cortinarius speciosissimus Kühner & Romagn=Cortinarius orellanoides Rob. Henry. Le specie di Cortinarius accertate di essere tossiche sono fino ad ora almeno 14, o solo sospettate di esserlo almeno 23; esse sono dunque così numerose da far ritenere che almeno le forme aventi tonalità rosso-scure, giallo-ocracee e giallo-verdognole siano ritenute sospette [KELLER et al.,1985]. La prima segnalazione di tossicità è stata fatta dal Grzymala nel 1957, [GRZYMALA S.-1957] in seguito ad un avvelenamento acuto in un banchetto di nozze verificatosi in Polonia. Nel 1979 Øveras [ØVERASJ. et al., 1979] ed altri ricercatori, hanno indotto sperimentalmente su pecore l’insufficienza renale, somministrando il Cortinarius rubellus. I Cortinari [ANTONINI D. et.al, 2003] [BREITENBACH et al.,1984] appartengono al gruppo dei basidiomiceti e pertanto sono caratterizzati dalla presenza dei basidi, cioè cellule claviformi adibite al sostegno delle spore. Le spore si presentano quasi sempre verrucose ed aventi forma ellissoidale. Questo Genere comprende una cospicua quantità di specie, oltre 800, le quali sono caratterizzate in gioventù dalla presenza di un velo araneoso (tipo ragnatela), che viene chiamato cortina, da cui deriva il nome di appartenenza specifico. La cortina ha una funzione di protezione dell’imenoforo fino a che le spore non giungono a maturazione. Cortinarius adulti in buono stato di conservazione, possono essere riconosciuti anche macroscopicamente dal micologo per alcune caratteristiche tipiche come le lamelle intensamente di colore giallo-ocra, cortina fugace con residui sul gambo, bulbo talvolta marginato, viscosità del cappello e del gambo. Altre indicazioni possono aversi in base agli odori particolari che alcuni di loro presentano, ed anche basandosi su reazioni chimiche particolari con KOH, Lugol, Cloruro ferrico (test di Pöder) [FOLLESA P. – 2009]. Sia il Cortinarius rubellus che il Cortinarius orellanus fino a qualche anno fa non erano considerate specie molto diffuse nel Nord Italia, ma una maggiore conoscenza di questi due funghi, oltre all’elevato numero di segnalazioni di intossicazioni di questo tipo, fanno ipotizzare che il peggioramento delle condizioni ambientali ed un conseguente tasso di inquinamento abbiano favorito la loro crescita, non soltanto in Italia ma anche in altri paesi Europei. Tale tipo di funghi sembrano infatti abbondare in terreni ricchi di alluminio, come se la capacità di legare questo elemento sia una loro caratteristica peculiare; si delinea dunque, sotto tale aspetto, una correlazione con i casi di inquinamento. Il Cortinarius rubellus, si confonde inoltre molto facilmente, con il Chroogomphus helveticus Sing, soprattutto allo stadio giovanile di crescita, anche perché purtroppo essi condividono lo stesso habitat, e la possibilità di confondere le due specie è quindi molto elevata.

TOSSINE:

L’orellanina, è il principio nefrotossico, estratto dai carpofori di Cortinarius orellanus. L’orellanina, sostanza cristallina simile allo zucchero è una bipiridina idrolizzata, non ha odori e sapori; è inattivata ad altissime temperature, e resa inoffensiva dalla luce. Per esposizione a luce U.V. o a temperature > 270° C, viene trasformata in orellina ed in orellinina. L’orellanina si degrada in orellina, un composto che non presenta tossicità sugli animali [ANTKOWIAK W. et. al.1985]. L’orellanina è abbastanza termostabile; infatti la tossicità dei carpofori non è alterata né con la cottura e né con l’essiccamento [DEHMLOW W. V et al.,1987],almeno fino a temperature di 150 °C. Nel giro di pochi giorni, l’orellanina, va a depositarsi nel rene in modo definitivo, costringendo il paziente ad effettuare per tutta la vita la dialisi, ed in molti casi il trapianto renale. La dose minima letale (LD50), si avvicina a 50 g. di fungo fresco, sarebbero pertanto sufficienti 40-50 g. di fungo fresco per causare un avvelenamento mortale, in un soggetto adulto [CANTIN D.et al.,1989].Sono state isolate delle cortinarine, nei carpofori del genere Cortinarius tossici. Vi è da dire però che la concentrazione di tossine riferite ad una determinata specie fungina, subisce cambiamenti a seconda delle varie aree geografiche ed esiste anche una variabilità individuale tra i vari soggetti, poiché non tutti gli intossicati vanno incontro ad insufficienza renale. Le cortinarine, strutturalmente simili alle amanitine, avrebbero un coinvolgimento nella sindrome orellanica; allo stato attuale delle ricerche non ci sono però conferme definitive. L’attività citotossica di queste cortinarine, inibirebbe l’RNA-polimerasi e quindi la sintesi proteica; esse avrebbero la capacità di bloccare le funzioni renali con effetto cumulativo, e avrebbero un’azione ritardata [TEBBET I. R. et al., 1984]

MECCANISMO D’AZIONE:

L’orellanina è dotata di moderata tossicità acuta (LD50 = 12,5-20 mg/Kg ip/topo), la cui concentrazione risulta particolarmente dannosa per la funzionalità renale, la tossina attiva è capace di provocare nefriti interstiziali e necrosi tubulari a concentrazioni relativamente basse. [FEIFEL E. et al., 1995]. La tossina viene assorbita a livello renale; essa presenta un meccanismo d’azione analogo alla vasopressina, esplicando i suoi effetti sul tubulo distale e sui canali secretori. Queste tossine agirebbero a livello renale, su siti recettoriali identici a quelli della vasopressina, ma a differenza dell’ormone, avrebbero una emivita più lunga. Come ovvia conseguenza si viene ad avere: ritenzione di liquidi, oliguria, anuria. La tossina rimarrebbe a lungo in circolo (8-10 gg.) essendo assorbita lentamente a livello del tubulo prossimale [BOUGET J. et al., 1990]. La tossina entrata rapidamente in circolo si legherebbe poi agli zuccheri, venendo rapidamente riassorbita dopo circa 24-48 h, e si accumulerebbe a livello renale. La permanenza di tale sostanza a livello interstiziale, non permetterebbe alle cellule del tubulo prossimale di rigenerarsi. L’orellanina inibirebbe la fosfatasi alcalina presente nell’orletto a spazzola, alterando conseguentemente i processi di riassorbimento che richiedono energia [PRAST H. et al., 1985] [MOSER M.- 1985]. Verrebbe quindi inibita la fosfatasi alcalina (non quella proveniente dal siero), ma quella presente a livello renale. Le cellule epiteliali presenti a livello del tubulo prossimale renale, hanno un alto contenuto in fosfatasi alcalina; pertanto la sua inibizione fa si che non ci sia a disposizione energia per un corretto funzionamento dell’apparato escretore. Secondo il dottor Valli [ATTI 2° convegno Internaz. Micotoss.-2001],l’orellanina attua una riduzione per fibrosi dei reni colpiti; essa inoltre agirebbe come starter per una rapida trasformazione fibrotica dei reni. L’inibizione della fosfatasi alcalina, da parte dell’orellanina, interrompe la produzione dell’adenosina trifosfato (ATP), il metabolismo cellulare di conseguenza ne risente e viene a generarsi necrosi delle cellule renali. L’accumulo di orellanina a livello renale, impedirebbe al tubulo renale di rigenerarsi. [VALLI et al., 2002]. L’orellanina si trova concentrata nei reni in una forma relativamente solubile e diagnosticabile, ma allo stesso tempo è stata osservata la sua assenza nelle urine, nel sangue e nei liquidi di dialisi [KOPPEL.C.1993][RORMOSER .1997]. L’orellanina è altamente tossica, tale da distruggere in modo irrimediabile ed irreversibile i reni dei pazienti che incautamente dovessero ingerire funghi che la contengono; essa agisce per apposizione a livello tubulare di sostanze che bloccano la rigenerazione tubulare. Nella sindrome orellanica il danno sembra essere diretto sulla cellula del tubulo prossimale, con accumulo di tale sostanza a livello interstiziale e con distruzione irreversibile delle cellule tubulari, dando quindi origine ad insufficienza renale acuta che si trasforma spesso in cronica. L’orellanina non altera le membrane cellulari ma esplica la sua azione tossica a livello intracellulare, inibendo la sintesi di macromolecole quali proteine, RNA e DNA [HORINA M.et al., 1997]. L’insufficienza renale acuta (I.R.A.) è una sindrome nella quale si ha una rapida compromissione della funzione renale; in essa si ha pertanto una riduzione della filtrazione glomerulare, con conseguente perdita della capacità di regolazione della omeostasi idro-elettrolitica e della incapacità di eliminare i cataboliti azotati. La tossina viene assorbita lentamente dal tubulo renale; di conseguenza essa rimane a lungo in circolo, poiché non è dosabile dopo 24 h, in esperimenti condotti su animali.

SINTOMATOLOGIA CLINICA:

Si ha un lungo periodo di latenza; l’incubazione è di 7-12 (36 ore). La sintomatologa è di tipo bifasico. Inizialmente compaiono, dolori a livello gastroenterico con nausea vomito e diarrea (presentanti un andamento incostante), astenia, mialgie, tremori, le transaminasi rimangono nei limiti. Segue poi una fase di regressione della sintomatologia e dopo 15-20 giorni circa si osserva secchezza della bocca, polidipsia (incessante necessità di bere), ipotermia, mialgie, nausea, cefalea, dolori muscolari, brividi, poliuria iniziale (aumento delle quantità di urina) seguita da oliguria (diminuzione della sua quantità); si riscontrano, ematuria, creatininemia oltre i 2 mg/l, iperazotemia con aumento dei prodotti di degradazione azotati, aumento del numero degli eosinofili, dolori lombari, insufficienza renale acuta; sono predominanti i sintomi propri della nefrite acuta che portano a morte il paziente [FLAMMER R.-1982]. La morte si realizza per coma uremico, e se si sopravvive si avrà una insufficienza renale cronica. Nella grande maggioranza dei casi l’intossicazione da parte di questi funghi, determina una insufficienza renale acuta o addirittura cronica di tipo irreversibile; pertanto se il soggetto recupera, dovrà sottoporsi a dialisi per tutta la vita. Può riscontrarsi anche un sovrapporsi di sintomi neurologici con: parestesie, alterazioni del gusto, disordini cognitivi, tinniti, segni meningei, convulsioni (i quali però non appaiono in modo costante).L’autopsia evidenzia steatosi epatica, necrosi dei tubuli renali, alterazioni infiammatorie a livello intestinale. A livello istologico viene evidenziata una nefrite interstiziale con necrosi tubulare diffusa, edema interstiziale, alterazioni glomerulari ischemiche con disintegrazione dei microvilli dell’orletto a spazzola, con tendenza a fibrosi interstiziale. [VALLI et al, 2002]

TERAPIA:

Il trattamento dialitico, e l’iperidratazione devono essere attuati nel più breve tempo possibile. Secondo Valli[VALLI et al., 1994] ed altri ricercatori, il trattamento farmacologico nell’uomo, non modificherebbe la prognosi, anche perché sovente si interviene tardivamente. Nelle prime ore dalla ingestione, è forse di qualche utilità la lavanda gastrica. Il trattamento di questa sindrome è sintomatico, come nel caso della insufficienza renale e prevede l’impiego di emodialisi e/o dialisi peritoneale [CIMA L. – 1993]. Si può usare una dieta ipoproteica, ed una correzione dell’equilibrio acido-basico. Se si agisce prima delle 6 ore è utile la lavanda gastrica, il carbone attivo, l’idrossido di alluminio, i lassativi e l’emodialisi. Dopo 7-8 giorni dalla intossicazione, è inefficace la plasmaferesi e l’emofiltrazione; si può usare però il trattamento dialitico classico. La dialisi ed il trapianto renale, consentono al paziente una buona sopravvivenza, nei casi conclamati di insufficienza renale irreversibile.[ASSISI F. et al., 2010]
Valutazioni micologiche:
A causa del lungo tempo di incubazione è alquanto difficile attuare riconoscimenti di tipo morfobotanico. La presenza dell’orellanina può essere riscontrata con il test di Pöder & Moser al Cloruro ferrico. [FOLLESA P.- 2009]

BIBLIOGRAFIA

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